💫 Le principesse non possono parlare
Mai infrangere le (value) proposition fatte a un bambino.
Hoang upon a time #s01e06
Previously, on Hoang Upon a Time: Anche nello scorso episodio abbiamo parlato di promesse, ma in quella storia ne sono state infrante parecchie. E come reagire di fronte al fatto di aver deluso i propri clienti? Dal mondo del gaming tre esempi che vale la pena conoscere.
C’era una volta Disneyland.
In questa newsletter vi racconto quello che ho già accennato in una serie di video che potete trovare sul mio TikTok 👇
Disclaimer — chi mi segue su TikTok mi dice che i video che faccio gli spuntano di continuo, un misto di viralità e spam. Mi dispiace, non è colpa mia se i miei videobrutti™ ogni tanto piacciono all’algoritmo ubriaco.
Seguimi a tuo rischio e pericolo. 😅
Iniziamo dal principio: se avete figli sapete che una gita a Disneyland è una tassa che a un certo punto dovrete pagare e a me è toccata quest’estate.
Io ne ho approfittato non solo per i selfie con Mickey Mouse ma anche per guardare da vicino come il parco divertimenti più famoso del mondo riesce a tenere in piedi la sua value proposition.
Quando parliamo di Disneyland, stiamo parlando di un prodotto specifico appartenente a un brand con un portfolio molto più ampio.
Questa distinzione è importante perché se quando parliamo di value, mission e vision, stiamo raccontando la direzione generale di un’azienda o di un brand, la value proposition si applica anche a una singola linea di business o a un singolo prodotto/servizio.
Nel caso di Disneyland è molto semplice individuare quale sia la value proposition intorno alla quale costruiscono ogni step della loro customer journey:
Never stop the magic. Non interrompere mai la magia.
Sì, ma come? Ad esempio con la musica.
A Disneyland, la musica non si ferma mai, addirittura dopo l’orario di chiusura del parco. Può diventare assillante ma l’assenza di un tappeto musicale fiabesco ci farebbe uscire da quella dimensione fantastica in cui il parco vuole tenerci immersi.
Anche i personaggi seguono delle linee guida molto precise.
Guardate questa immagine che girava su internet un po’ di tempo fa.
È una foto d’archivio dei dipendenti di Disneyland in fila alla mensa aziendale.
Vederli così romperebbe sicuramente la magia perché l’unica cosa che il nostro cervello ammette che la vera Biancaneve possa ingerire è un morso di mela avvelenata.
Quando incontriamo i personaggi all’interno del parco infatti, non solo non li vedremo mai dediti ad attività quotidiane, ma non li sentiremo neanche mai parlare perché la loro voce tradirebbe il fatto che sotto la maschera c’è una persona reale.
L’interazione con i fan si limita a saluti e photo opportunity.
Ma siccome anche chiedere a Elsa come sta Olaf e non ricevere una risposta potrebbe spezzare l’incantesimo, ogni personaggio ha un suo PA che sopperisce a eventuali domande e richieste di informazioni.
Le regole a tutela della magia ricadono anche sui visitatori che non si possono travestire, a meno che non siano bambini. Questa indicazione ha una triplice funzione: supporta la value proposition (io vestito da Ursula sarei di certo un danno per il patto narrativo), risponde a esigenze di sicurezza e celebra il target primario del parco, ovvero i più piccoli.
È affascinante quanti dettagli contribuiscono a dare coerenza a tutta l’esperienza.
Dalla struttura del parco in cui le diverse aree sono completamente separate per evitare che mondi diversi si contaminino fino alla vernice “go away green” con cui sono dipinti tutti quegli elementi che i visitatori dovrebbero notare il meno possibile.Dal design delle aree di fila, fatte per soffrire l’attesa il meno possibile fino agli show fuori programma pensati per distrarre da eventuali problemi, gestire gli assembramenti e redirezionare le folle.
Una regola famosa è quella del cartellino.
Ogni membro del cast (perché quando siamo a Disneyland non si parla di dipendenti e anche questo è un pezzetto di value proposition ma applicata alla comunicazione interna) ha un cartellino con un nome proprio in modo da facilitare la relazione con i clienti.
Perché però ho scritto UN nome proprio e non IL proprio nome?
Perché pare, e qui è dove le regole iniziano ad arrotolarsi su se stesse, che nello stesso turno e nella stessa sezione di parco non possono esserci due persone con lo stesso nome.
Per cui se in quel momento è in servizio uno Hoang più senior di me, a me verrà affibbiato un nome di fantasia.
E il tutto perché al sig. Disney piaceva essere chiamato semplicemente Walt.
🧞♂️ Morale della favola:
Quando definiamo una value proposition per il nostro prodotto o servizio, dobbiamo considerare TUTTI gli aspetti su cui questa proposition dovrà declinarsi in modo da non entrare mai in contraddizione con noi stessi.
Saper mantenere le promesse è essenziale in qualunque relazione e infrangerle può mettere seriamente a rischio nostra credibilità.
Alla luce di questo chiediamoci sempre:
La promessa che sto facendo è sostenibile? Ho tenuto conto di tutto ciò che dovrò mettere in atto per rendere tangibile la mia value proposition? Voglio davvero portare i bambini a Disneyland?*
*Non contento a Gennaio li porto a Rovaniemi, in Finlandia dove c’è nientepopodimenoche Il Villaggio Di Babbo Natale. Masochismo puro, ma la newsletter è assicurata :)